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Uscita: SA1-2004 Gita6 / Dome de Cian



Corso: SA1-2004
Data: 04/04/2004
Partecipanti:


Itinerario: Dome de Cian
Quota iniziale : 1951
Quota finale : 3351
Dislivello totale : 1400
Esposizione :
Difficolta' : BS
Localita' di partenza :
Regione :
Zona : Alpi Pennine - Valpelline

2 commenti su “Uscita: SA1-2004 Gita6 / Dome de Cian”

  1. Parafrasando Nik o come direbbero le orobiche: POTA e’ gia’ finito il corso! Devo ammettere che all’inizio non avrei scommesso molto sulla mia presenza all’ultima uscita e invece bravi gli istruttori che mi hanno dato piu’ di una chance (gira addirittura voce che abbia fatto qualche progresso, incredibile!). E ho pure trovato una ragazza che mi spalma la crema, meglio di cosi’! Riguardo alla bellissima scampagnata di ieri un encomio agli assistenti discesisti Muttini, Sessa (manager-avvocato di fiducia delle potagirls, che lavoraccio!) ed anche alla Maura, per i consigli elargitimi.
    Un po’ bruciacchiato e col mal di schiena (sara’ il materasso), ma soddisfatto e col sorriso sulle labbra – nonostante un fondo di tristezza per la fine dell’avventura sa1 – un arrivederci alle gite sociali, Edoardo.
    P.S.: Grazie a tutti i contribuenti per i bastoncini nuovi di zecca.

  2. Lunedi’ 5 Aprile 2004

    Il giochetto con il quale i nostri scanzonati istruttori si sono trastullati in quest’ultima uscita, aveva come tema la costruzione di un ricovero d’emergenza.
    Cosi’ almeno lo hanno chiamato. Ma a ben vedere, dopo le lunghe dissertazioni intorno ai mille pericoli che attentano all’incolumita’ dell’eroico sci-alpinista, sorge il legittimo sospetto che, sotto sotto, s’intendeva parlare del triste epilogo: la sua tomba.
    Non per nulla si sono riservati di trattare l’argomento proprio alla fine!
    Ci spiegano che vi sono svariati modi per mettersi una croce sopra in loco. La Righini ne ha omologati ben tre e tutti finalizzati ad un unico scopo: evitare inutili fastidi ai parenti e superflue spese di trasporto a chicchessia.
    L’igloo e’ il piu’ confortevole di tutti. Si presenta caldo ed accogliente, dignitoso per qualunque ceto ed estrazione sociale. Purtroppo ha un limite soggettivo, ovvero sia che per realizzarlo si rende necessario passare a miglior vita in buona compagnia, circondati da un folto gruppo di specialisti: estrattori, levigatori, muratori e poi ancora ingegneri, geometri, desainer.
    Ed e’ proprio la costruzione di un igloo il compito assegnato al mio gruppetto.
    Nicolo’ ed io dobbiamo impegnarci all’interno del perimetro segnato – una circonferenza dal diametro di una decina di metri mentre gli altri, sferzati dallo scudiscio, iniziano febbrilmente ad edificare tutto intorno a noi. Nel giro di un’ora abbiamo gia’ finito, sennonche’ Maura (l’ingegnere) inserisce a sorpresa una variante in corso d’opera: vorrebbe la cucina in muratura, per coccolare i vizi del Bez, e pretende inoltre un piccolo studio privato dove correggere in santa pace l’ultimo scritto d’Analisi 1. L’Aurelio (geometra) s’impunta invece sul porticato e sulle aiuole di begonie antistanti. E possiamo ritenerci ancora fortunati che non si accorge del Suzukino semisepolto nella neve e poco distante, altrimenti il box sotterraneo non ce lo avrebbe tolto nessuno. Sulle begonie resto tuttavia perplesso: non sarebbero adatti i piu’ tradizionali crisantemi? Mentre sono li’ ad interrogarmi, scopro che nella riserva di chincaglie inutili da stipare nello zaino non deve mancare mai un moccolo di candela. Si evitera’ cosi di procurare un ulteriore fastidio a chi in seguito desiderera’ visitarvi per versare l’ultima lacrima d’addio, poiche’ questi non avra’ alcun bisogno di portarsi dietro il lumino, ma solo da accendere.
    Mastro Aurelio, che in farneticazioni non e’ secondo a nessuno, segue la Maura a ruota e ci impone d’ aggiungere alla spesa anche un rotolo di domopak. Una decina di metri, consiglia, tanto per essere sicuri di avvolgervi anche il piu’ obeso tra di noi. L’articolo e’ ritenuto di fondamentale importanza per conservare a lungo l’integrita’ dei tessuti ed e’ anche un ottimo espediente contro l’alterazione dell’ambiente alpino: vi sembrerebbe civile se uno sventurato turista di passaggio dovesse subire un inquinamento olfattivo a causa della vostra carne, in avanzato stato di putrefazione? Il locandiere – un vecchio omaccione che mastica tabacco sull’uscio del rifugio non puo’ fare a meno di manifestare il proprio apprezzamento ed entusiasta plaude all’idea.
    Dopo l’igloo viene la tana del lupo, detta anche tana di volpe (rif. Maura) a seconda che, sorpresi di notte nel bel mezzo di una bufera, continuate in ogni caso a credervi abbastanza furbi oppure semplicemente incazzati come belve. La supervisione della tana del lupo (io, scettico di natura, protendo per la seconda ipotesi) e’ affidata al Magnifico, il quale, alla testa del secondo gruppetto di sventurati, si avvia baldanzoso qualche metro piu’ a valle, la’ dove la neve e’ piu’ alta, talmente alta che persino Sergio, tolti gli sci, sparisce nel nulla a braccia levate. Cosi’ succedera’ che dedicheranno piu’ tempo con il solito arva a ritrovarsi a vicenda che a costruirsi la tana. Per recuperare un po’, e potendo spalare solo uno per volta, progettano di scavare due ingressi poco distanti l’uno dall’altro, con l’idea di ricongiungerli nel giro di qualche metro. Dopo cinque interminabili ore, ormai tutti congelati, si arrendono all’evidenza: ciascuno, per la propria impresa, ha realizzato un tunnel lungo una sessantina di metri, sbucando, da un lato sul greto ghiacciato del torrente e dall’altro, a monte del rifugio (piu’ tardi ci sbalordiremo di un cameriere che, sceso un attimo in cantina, rientrava dopo mezzora dalla porta d’ingresso con una caraffa di barbera). Infine c’e’ la fossa comune propriamente detta, ma a questo punto anche il piu’ ottimista di noi si scuote e s’accascia alla realta’. Il malumore, non piu’ latente, serpeggia ormai a vista e quel briciolo d’umanita’ che residua come una feccia in fondo all’animo del piu’ crudele dei caporali, suggerisce che e’ meglio evitare l’ennesima dimostrazione pratica. Dovendo tuttavia adempiere con scrupolo i propri doveri, gli istruttori vi accennano seppure per sommi capi: dapprima si scava, poi ci si getta dentro a peso morto uno sull’altro, ed infine ci si ricopre di neve utilizzando come botola frasche fresche e/o sci nuovi di pacca: premesso che, scomparso Hitler, non ho ben capito come fara’ l’ultimo a chiudele la polta, mi chiedo anche: semmai cosi’ avessi anche una sola piccola chance di cavarmela, dovesse mai nevicare, non me la saro’ giocata?!!

    Cari istruttori, ma come farete a riempire il vuoto dei prossimi tre mesi? M’immagino che vi sara’ difficile trascinare i figli in spiaggia prima di luglio! Ma forse sto sottovalutando la vostra fantasia ed oggi stesso farete ammattire i colleghi nascondendo loro i cellulari per tutto l’ufficio.
    Il giorno seguente mi sveglio di pessimo umore e resto mutanghero per quasi tutto il tempo lasciando che a parlare siano solo le mie gambe.
    A questo punto che senso avrebbe fingere ancora, violentare il mio carattere cupo per apparirvi simpatico? L’enfiteuta smette di seminare il campo se il decorso del termine matura prima del grano.
    L’SA1 2004 volge ormai alla fine e nonostante gli investimenti di risorse economiche e mentali, questa ultima notte (sono tornato a sabato 3/04) mi tocca dormire ancora da solo.
    Allucinante! E v’e’ di piu’, s’arriva persino a sbrandarmi!
    Premetto: nel corso della gita precedente, attardandomi un attimo, ero stato obbligato a dormire nell’anticamera della soffitta, separato dalle stanze della servitu’ da un semplice plaid appeso allo stipite delle porte. Pertanto questa volta decido di muovermi in tempo e per riuscirvi rischio la paralisi degli arti superiori sbrigandomi all’igloo, poi quella degli arti inferiori sbrigandomi piu’ in basso durante l’ultima prova arva. Non appena congedato mi fiondo verso il rifugio, tento di domandare al locandiere, spiegandomi in ultimo a gesti, dove pernotteremo. Questi, sputando per terra, m’indica il piano superiore. Faccio le scale quattro a quattro arrivando per primo, ispeziono la camerata come un burbero sergente di caserma, trovo il tempo per eseguire le prove di morbidezza dei materassi, quelle di solidita’ e cigolio d’ogni castello, individuo due posizioni strategiche adiacenti ad aperture esterne che soddisfano l’eventuale bisogno d’una boccata d’aria fresca (non dimentichiamoci che nella camerata si dovra’ dormire in 16), con un complicato calcolo astronomico che tiene conto dell’evoluzione lunare lungo la volta celeste, scelgo infine la branda che in minor misura sara’ disturbata dalla luce naturale e, sfinito come l’ultima volta che ho arredato casa, finalmente occupo. In un primo tempo vi abbandono sopra lo zaino, poi, per sicurezza ci ripenso e sparpaglio sopra il letto ogni cianfrusaglia, compresi i rampant e l’intero reparto agro-alimentare. Poi scendo di sotto a togliermi gli scarponi.
    Vi rendete conto, con che coraggio mi hanno sbrandato?
    Tutto questo accadeva prima che cenassimo, ancora prima d’attardarmi con le dolci fanciulle insonni che allegramente scolavano, una grappa via l’altra, giu’ al saloon, molte ore prima che decidessi di andare a coricarmi. Salgo orgoglioso come un bambino che ha finito tutti i compiti e si e’ pure lavato i denti, vado per distendermi sul letto e cosa vi trovo? Trovo che sotto le coperte c’e’ gia’ un cuore che batte, due polmoni che ansimano nel sonno, ciocche di capelli sul cuscino come macchie d’inchiostro, e niente di tutto questo mi appartiene. Recupero, in una forsennata caccia al tesoro, le mie cose disseminate per la camerata. Nella penombra s’alza un cranio e mi sussurra: << c'eri tu qui sopra? Mi spiace, la Tecla ha visto libero e s'e' sistemata. Potevi almeno lasciarci un segno! >> Pazzesco, un segno! Che segno? Avrei forse dovuto urinare su un piede del letto come fanno i cani, o recintare tutto, come fece il trisavolo di un mio amico che divento’ feudatario a forza di appropriarsi terreni incolti correndo su e giu’ al catasto per falsificarne gli atti di proprieta’?
    Si e’ gia’ svolto l’incontro conclusivo, come diavolo ribatto? Oh! se ripenso all’hip-hip-urra’ finale, mi sale un tale formicolio alle mani, ma forse sono solo le dita che iniziano a scongelarsi. Ci hanno fatto radunare la sera del sabato per sentire cosa avevamo da dire, ma era talmente evidente che si attendevano applausi e riconoscimenti. Cosi’ vengo a scoprire che tra i miei compagni di corso c’e’ gente caritatevole abituata a non lesinare elemosine ai piu’ bisognosi. All’inizio partiamo in sordina, avanzando critiche vaghe e capricciose. Il leguleio s’incarta in un discorso, alla fine qualcuno rompe gli indugi e fioccano le lusinghe. Finiamo per spintonarci scomposti nel tentativo di fare l’apprezzamento migliore, e mentre ormai volano parole grosse, quelli si alzano e si avviano a dormire i loro sogni di gloria. Rimane solo il Muttini a godersi la scena del pollaio scatenato in un’infernale baraonda, e gongola sornione con la pipa tra i denti.
    L’indomani mattina ci alziamo prima dell’alba ed al buio iniziamo la traversata del Dôme de Cian. La neve frisa sotto le pelli, stelle di ghiaccio cadute nella notte. Intorno ci avvolge un silenzio plumbeo rotto soltanto dalla seta del Buthier. In fila indiana c’incamminiamo per il bosco con la coda dei sogni ancora tra le ciglia. All’alba attraversiamo la Combe de Valcournera, di fronte il Ghiacciaio di Cian lacrima sotto la calotta, poi, la’ dove la gola si stringe, un Fhon gelido imprigionato tra le pareti ci obbliga a coprirci. La luce del giorno spunta in sordina, vitrea ed irreale come in un film in bianco e nero. Osservo le cosce di Chiara arrancare sul pendio sempre piu’ scosceso, i polpacci d’Annarita costretti in uno sforzo innaturale. Chissa’ se nelle fornaci di sudore e fatica spalano dentro pensieri anche loro, come fuochisti, come faccio io. Superato il Colle Chavacour, c’introduciamo nella Fortezza di Cian e dopo avere percorso le sue sterminate stanze, intime valli picchettate da vigili guardiani di pietra, arriviamo finalmente in cima per ammirare sotto l’azzurro tetto del mondo uno spettacolare arco alpino. La discesa sara’ dolce e soffice, sopra una neve polverosa appena bagnata dal sole. Non c’e’ dubbio, questa e’ stata l’uscita piu’ bella, a corollario di un corso che non dimentichero’. Sara’ difficile dimenticare i miei valorosi compagni d’avventura, gli istruttori simpatici e pazienti, le giornate fortunate e le montagne via via meno ostili. Questo e’ il solo pensiero che mi accompagna costeggiando le Place Moulin, uno dietro l’altro con rinnovata energia, fino alla diga, alle macchine, alle nostre strade: mi mancherete, mi mancate gia’.

    Rompicapo (il Geniale Leonardo non c’entra per nulla!): ci sono 5 case, di 5 colori diversi, con 5 persone di differente nazionalita’ che le abitano. Ciascuno di loro beve una differente bevanda, fuma sigarette di marca diversa e tiene in casa una differente specie d’animale.
    Inoltre:
    1. l’inglese vive in una casa rossa
    2. lo svedese ha un cane
    3. il danese beve the
    4. la casa verde si trova alla sinistra della casa bianca
    5. il proprietario della casa verde beve caffe’
    6. chi fuma le Pall Mall possiede anche gli uccellini
    7. il proprietario della casa gialla fuma le Dunhills
    8. chi abita nella casa centrale beve latte
    9. il norvegese vive nella prima casa
    10. l’uomo che fuma le Blends vive accanto a quello che ha i gatti
    11. l’uomo che ha i cavalli abita vicino all’uomo che fuma le Dunhills
    12. l’uomo che fuma le Bleu Master beve birra
    13. il tedesco fuma le Prince
    14. il norvegese vive accanto alla casa blu
    15. l’uomo che fuma le Blens ha un vicino che beve acqua.

    !A CHI APPARTERRA’ IL PESCIOLINO?

    Ciao Nik.

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